Un groviglio di attese, promesse mancate e gestioni zoppicanti: in Umbria, 4.270 famiglie aspettano ancora un tetto che sembra sempre più lontano. Questa regione, con un’incidenza di 11,3 richieste ogni 1.000 famiglie, rappresenta uno spaccato di un problema nazionale che pesa soprattutto sulle amministrazioni locali. Questo è quanto emerge dal report Unimpresa sulle famiglie italiane senza case popolari.

I comuni umbri si trovano spesso con le mani legate: fondi insufficienti per ristrutturare e modernizzare edifici costruiti decenni fa lasciano migliaia di persone in attesa di una casa dignitosa. E il dato nazionale non aiuta: quasi la metà del patrimonio pubblico risale a prima del 1980, una fotografia impietosa dell’inerzia che ha segnato le politiche abitative degli ultimi decenni.

Case popolari, richieste inevase di edilizia residenziale pubblica, un focus sull’Umbria

In Umbria, il panorama delle case popolari inevase racconta una storia di attese e speranze disilluse. Con 4.270 domande senza risposta, la regione si piazza al centro di una classifica nazionale che non fa sconti. L’incidenza è di 11,3 richieste ogni 1.000 famiglie, leggermente sotto la media italiana di 12,6, ma questo non basta a spegnere le criticità. Qui, come altrove, il problema si annida nella gestione locale, dove risorse limitate si scontrano con un patrimonio vecchio e inadeguato.

I comuni umbri si trovano spesso con le mani legate: fondi insufficienti per ristrutturare e modernizzare edifici costruiti decenni fa lasciano migliaia di persone in attesa di una casa dignitosa. E il dato nazionale non aiuta: quasi la metà del patrimonio pubblico risale a prima del 1980, una fotografia impietosa dell’inerzia che ha segnato le politiche abitative degli ultimi decenni.

La distribuzione delle richieste inevase in italia

Allargando l’orizzonte, la Lombardia svetta nella graduatoria con 67.176 domande inevase, quasi il 21% del totale nazionale. Ogni 1.000 famiglie lombarde, 15,9 attendono ancora una risposta, un numero che fa riflettere sulla portata del problema. Seguono Sicilia ed Emilia-Romagna, con rispettivamente 37.278 e 29.462 richieste inevase, e incidenze di 18,5 e 15,0.

Il caso della provincia autonoma di Bolzano fa rumore: solo 4.801 richieste, ma con una incidenza record di 22,4 ogni 1.000 nuclei familiari. Tra le regioni del Centro-Nord, Friuli-Venezia Giulia e Toscana non sono da meno, con 16,9 e 16,0 domande inevase ogni 1.000 famiglie, segno di una pressione abitativa che non risparmia neppure le zone più sviluppate del Paese.

Dall’altra parte dello spettro, Valle d’Aosta e Molise si distinguono per i numeri più bassi. La prima conta appena 165 richieste inevase, con un’incidenza di 2,7 ogni 1.000 famiglie, il dato più basso in Italia. Il Molise si ferma a 562 domande, pari a 4,3 ogni 1.000 famiglie. Anche l’Abruzzo resta su valori contenuti, con 1.933 richieste inevase e un’incidenza di 3,5.

Il divario nord-sud nella domanda di case popolari

Il Sud Italia vive una pressione abitativa storica, che si riflette nei numeri. Calabria e Basilicata registrano incidenze rispettivamente di 13,8 e 16,6 domande inevase ogni 1.000 famiglie, mentre la Puglia tocca quota 11,5 con 18.235 richieste. La Campania si distingue per un dato più basso rispetto alle altre regioni meridionali, con un’incidenza di 6,4 ogni 1.000 nuclei familiari.

Questi numeri raccontano di un patrimonio immobiliare spesso obsoleto, con edifici concentrati in aree periferiche o rurali, lontane dai centri dove la domanda abitativa è più alta. Le amministrazioni locali faticano a rispondere a questa emergenza, aggravata da decenni di mancati investimenti e politiche inefficaci.

La concentrazione del patrimonio immobiliare nelle mani dei comuni

Oltre il 53% degli alloggi popolari in Italia è gestito dai comuni, che detengono 401.808 unità su un totale di 752.217. Gli enti territoriali per l’ERP amministrano un ulteriore 42,4%, mentre gli altri enti pubblici, come gli enti previdenziali o ministeriali, giocano un ruolo marginale con quote inferiori al 2%.

Questa concentrazione nelle mani delle amministrazioni locali crea una gestione a macchia di leopardo, dove le risorse spesso non bastano per rispondere alle esigenze della popolazione. I comuni, con bilanci già ridotti all’osso, si trovano a dover fronteggiare una domanda crescente senza strumenti adeguati. 

Quello che emerge è un sistema in affanno, incapace di rinnovarsi e di distribuire equamente le responsabilità. E mentre le domande inevase si accumulano, la mancanza di una strategia nazionale lascia ai comuni l’onere di gestire una crisi che meriterebbe ben altre risposte.